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Picanha, bistecca e Prato. Thiago Perez: "Ecco perchà© sono rimasto qui"

 16/05/2017 Letto 1302 volte

Categoria:    Serie A2
Autore:    Ufficio Stampa
Società:    PRATO





Ci sono i laterali, i centrali, gli universali, gli attaccanti. E poi c’è lui, il portiere. Quello col numero uno, quello con la maglia diversa da tutti gli altri. Il padrone assoluto dell’area di rigore, l’unico a potersi concedere il lusso di giocare utilizzando tutto il corpo. La storia, la letteratura, il credo comune ne raccontano la solitudine, la leadership, l’obbligo di trasmettere tranquillità alla squadra, il segnarne la personalità. C’è chi dice che serva anche una vena di follia, che i portieri siano tutti un po’ pazzi. Non sempre è vero ma tipi particolari, beh, quello lo sono di sicuro. “Perché non è da tutti andare incontro al lampo di un bolide scagliato sui duecento orari e farsi trovare”, come cantano i Diaframma di Federico Fiumani. Di numeri uno straordinari lo sport ce ne ha regalati tanti. Alcuni li abbiamo solo immaginati, circondati dall’aura della leggenda, come “El Gato” Diaz, il portiere della Estrella Polar che, per consentire la vittoria del campionato alla sua squadra un po’ scalcagnata, all’ultimo minuto dell’ultima giornata deve parare a Constante Gauna “il rigore più lungo del mondo”, quello che durò una settimana. “Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel 1958 in un posto sperduto di Valle de Rio Negro, una domenica pomeriggio in uno stadio vuoto”, scriveva Osvaldo Soriano, e giù polvere, mito, leggenda, brividi. Altri portieri li abbiamo vissuti, ammirati, esaltati. Nel godere delle loro gesta, delle loro parate, abbiamo cercato di afferrarne il segreto profondo, di carpire il senso della loro diversità. Ma chi è il portiere? “Un portiere deve essere masochista”, ci dice Gigi Buffon. “Come ruolo può essere paragonato all’arbitro. Ha il potere di comandare ma può solo subire gol, non può segnare, e deve sopportare offese continue. La psicologia dovrebbe studiare questo ruolo così contraddittorio”. Un masochista. Uhm. E poi? “E’ un solitario. Condannato a guardare la partita da lontano. Senza muoversi dalla porta, attende in solitudine, fra i tre pali, la sua fucilazione. Prima vestiva di nero come l’arbitro. Ora l’arbitro non è più mascherato da corvo e il portiere consola la sua solitudine con la fantasia dei colori”. E questo era Eduardo Galeano. Gli fa eco Jorge Valdano, per cui i portieri “vivono all’interno dell’area. In quella prigione dalle sbarre bianche, adagiate e friabili, hanno due mani di vantaggio sul resto della squadra, e per questo privilegio si vestono di un altro colore”. Aggiungendo: “Il portiere dei campioni è l’uomo solo che aspetta. Ha lunghi minuti di contemplazione, ma non può concedersi il lusso della distrazione. E’ spettatore, ma con occhi da protagonista, felino che ha bisogno di pazienza. Compare così poco sulla scena che si notano molto di più le sue incertezze. Decine di minuti a ruminare l’ultimo errore senza potersi vendicare fino a quando, in un istante non scelto, gli si presenta il nuovo, impegnativo compito”. Sono portieri di calcio questi, non di futsal. Non li vedi salire in attacco ad impostare e, magari, segnare. Ma la psicologia è quella, il senso del ruolo è quello. E allora, avanti. Estremo difensore, il portiere è anche l’uomo volante di Stefano Benni: “Vedo il pallone calciato che arriva / come una locomotiva / e sono solo nel cielo / mentre volo incontro al tiro / e voi trattenete il respiro”. Il portiere è un guastafeste, lo giura Eduardo Galeano: “Lui i gol non li segna. Sta lì per impedire che vengano fatti. Il gol, festa del calcio: il goleador crea l’allegria e il portiere, guastafeste, la disfa. Porta sulle spalle il numero uno. Primo nel guadagnare? No, primo a pagare. Il portiere ha sempre la colpa. E se non ce l’ha paga lo stesso. Quando un giocatore qualsiasi commette un fallo da rigore, il castigato è lui: lo lasciano lì, abbandonato davanti al suo carnefice, nell’immensità della porta vuota. E quando la squadra ha una giornata negativa, è lui che paga il conto sotto una grandinata di palloni, espiando peccati altrui”. Tutto questo e molto altro ancora è il portiere. Tutto questo e molto altro ancora è Thiago Perez. Classe 1990, doppia cittadinanza italiana e brasiliana, nome completo Thiago Augusto Grossi Perez. Quattro anni in Sardegna, già due anni in Toscana. Come ormai tutti sanno, ce ne sarà almeno un terzo.

Thiago, cosa puoi dirci della tua decisione di restare al Prato C/5?
Sono contento della mia scelta. Mi hanno convinto il progetto della società e la sua determinazione a tenermi. Mi hanno fatto sentire davvero importante. Ora la società proverà ad allestire una rosa competitiva per fare un campionato importante e provare a raggiungere il sogno di tutti noi che è arrivare alla massima serie italiana.

Molte squadre ti hanno cercato, anche dalla serie A. Quella di restare è stata anche una decisione sofferta?
Un po’ sì, credo che fare la serie A sia il sogno di tutti. Però credo anche che le cose debbano arrivare nei momenti e nei tempi giusti e che la mia storia a Prato sia ancora lunga. Sono contento di aver trovato l’accordo con la società per fare ancora parte di questo progetto.

Che ne pensi della conferma di mister Suso?
Sono molto contento. E’ uno degli elementi che mi ha convinto a rimanere. Suso è una grande persona ed un grande allenatore. I giocatori che rimangono e quelli che verranno sono sicuri che saranno ben preparati per le partite e che si alleneranno bene. Su mister Suso puoi contare sempre, sia dal punto di vista professionale che personale.

Suso quest’anno avrà a disposizione uno staff allargato che comprenderà anche due vice allenatori.
E’ uno staff molto qualificato. Cristian rientra al Prato dopo tanti anni, ha una grossa storia al Prato Calcio a 5. Mirko ha fatto una grande stagione con l’Under 21. Il preparatore dei portieri Zangirolami per me ha fatto un gran lavoro. E’ uno staff di qualità che potrà dare una grande mano a noi giocatori ed a Suso come allenatore.

Parlaci un po’ di te. Chi lascia il Brasile per venire a giocare in Italia deve inseguire un suo sogno personale, no?
Io da piccolo ho sempre sognato di giocare a calcio o a calcio a 5. La mia storia è fatta di tanti sacrifici, di tanta lotta, come credo sia per la maggior parte delle persone. Ci ho messo del tempo ma sono riuscito a raggiungere il sogno di giocare, poi sono venuto in Italia ed oggi mi trovo a Prato. Ho la fortuna di fare quello che amo come lavoro. Il momento in cui sono dentro il campo, potendo lottare per la maglia che indosso, è quando mi sento completamente vivo, completamente felice.

Se ti guardi indietro e ripensi al bambino che eri, che cosa vedi?
Mi viene da sorridere, perché il mio è stato un sogno difficile da raggiungere. Ripenso a quei tre allenamenti al giorno, al prendere il pullman alle sei di mattina per andare ad allenarmi in un’altra città. Quanti sacrifici. E oggi, vedermi considerato la base di un progetto tecnico, le fondamenta di una squadra, sentirmi considerare un giocatore importante è per me la realizzazione di questo sogno. Un sogno che tuttora mi guida.

Nella tua bellissima stagione di quest’anno, qualche parata in particolare ti è rimasta impressa?
Qualcuna sì, se devo essere sincero. Una col Grosseto. Dopo la prima parata, il loro giocatore, il capitano se non mi sbaglio, ha tirato di nuovo ed io ero già sdraiato a terra, ma sono tornato su e con la mano dietro ho parato ancora. Un’altra la ricordo ai play-off contro l’Arzignano, su un tiro di Marcio deviato. Ce ne sarebbe una terza, su Stringari, nella partita interna che abbiamo perso contro il PesaroFano. E poi ci sono i rigori di Coppa Italia, senza dubbio.

Hai parato rigori sia al Milano che all’Augusta, lì in Puglia. Torniamo a quelli dei quarti di finale, che sono valsi la qualificazione. Hai appena preso il rigore che può essere decisivo, cosa ti passa per la testa?
Se non mi sbaglio con l’Augusta andava a tirare Murilo. Nella mia testa c’era solo “ti prego Murilo, segna, segna, segna”, lui l’ha fatto e ci ha portato in semifinale. E’ stato un momento grandioso per tutti noi, vivevamo un sogno. Era la prima volta della società in Final Eight di Coppa Italia dopo tantissimi anni. Era una partita importante per tutti. Già nell’albergo si vedeva che per noi era la prima volta lì, per gli altri no. Quindi quando abbiamo eliminato l’Augusta, che era già da tanto tempo nel calcio a 5, per noi è stata una sensazione bellissima.

Tra i colleghi in categoria chi ti ha impressionato di più, Weber?
Sicuramente Weber, è un grande portiere. Sono cresciuto vedendolo giocare. Poterlo affrontare in campo, essere paragonato a lui, per me è bellissimo. In categoria comunque ci sono tanti portieri bravi, il livello in A2 è alto. Citerei principalmente Urbani dell’Arzignano e Tondi del Milano, sono cresciuti tantissimo dall’anno scorso. La crescita di Urbani è stata sicuramente segnata in positivo dal grande lavoro che fa il preparatore dei portieri Alberto Nogara. Anche Tondi a Milano con il suo staff ha fatto sicuramente un gran lavoro. Secondo me sono due portieri che hanno fatto una buonissima stagione. Direi quindi che Weber, Urbani e Tondi sono i tre portieri che più mi hanno impressionato nel nostro girone di A2.

Dove pensi di dover migliorare di più per il futuro?
Ogni anno sto migliorando molto la mia forma fisica. Mi avete visto l’anno scorso, mi avete visto quest’anno. Ho guadagnato tanto in altezza, in massa muscolare. E’ una cosa che sto cercando di migliorare anno dopo anno. Suso è un allenatore molto qualificato e mi farà crescere ancora molto, al di là delle specifiche tecniche di allenamento che dovrò seguire e che mi faranno migliorare ancora.

Ti lancio una provocazione scherzosa. In Brasile in porta ci vanno solo i giocatori scarsi. Cosa rispondi?
Che in Brasile già fin da piccoli è importante giocare con i piedi, anche per i portieri, quindi i piedi buoni servono anche lì. E’ una cosa che ti viene insegnata già da piccolo, una cosa molto allenata. Ho sempre giocato molto con i piedi, i primi anni da giocatore ed anche quando ho affrontato il Prato da avversario. Mister Suso preferisce un gioco nel quale non si usa il portiere d’attacco, è uno stile di gioco che a noi ha portato risultati importanti e a me va bene così. Il segreto è tenersi sempre allenato per poter aiutare la squadra se è necessario.

Quanto vi è dispiaciuto quest’anno uscire sia dalla Coppa che dai play-off senza perdere, con due pareggi?
In Coppa ci stava, in fondo anche l’Augusta è uscita senza perdere, c’è poco da dire. Quello dei play-off è un discorso un po’ diverso. Dal mio punto di vista anche ai quarti di finale dovrebbe esserci una sfida andata e ritorno. Il regolamento però era quello e lo sapevamo. Abbiamo lottato ma non è bastato. La sensazione è un po’ strana perché ti resta dentro l’idea di non meritare di uscire, però succede e fa parte dello sport. Ora rialziamo la testa e pensiamo all’anno prossimo.

Torniamo al ragazzo Thiago Perez. Quali sono le tue passioni oltre lo sport?
Sono una persona molto tranquilla, molto semplice. Mi piace uscire, andare in giro, fare una bevuta con gli amici, sentire la musica. Niente di straordinario.

Dice la voce di popolo che sei innamorato.
Ho conosciuto Jessica, chi mi è vicino lo sa. E’ una persona che mi fa molto felice e che è molto importante per me.

Il fatto che sei rimasto al Prato significa ovviamente che hai fiducia nella società. Cosa ti aspetti dalla prossima stagione?
Quando ho parlato con la società sono stato piuttosto chiaro su questo, che per me cioè era importante il progetto, far parte di una squadra che possa competere per vincere la A2, perché se devo rifiutare la serie A dev’essere per un progetto importante. La società mi ha dato queste garanzie ed io ho fiducia nel Prato, che tornerà ad essere una delle società più importanti d’Italia.

Come vedi il Thiago Perez del futuro, di qui a qualche anno? Lo vedi campione d’Italia, in Nazionale, già in pensione? Come ti immagini?
La pensione è ancora lontana, sono un ragazzo di 27 anni. C’è tanto da lavorare per me. La Nazionale credo sia il sogno di tutti. Io sono un portiere “italo”, anche se sono cresciuto in Italia ed ho fatto l’Under 21 qui in Italia sappiamo come sono i regolamenti ed il pensiero delle persone su questo argomento. Il sogno c’è sempre però dobbiamo essere realisti, tenere i piedi per terra, lavorare ed aspettare di meritarsi magari qualcosa.

Accanto a te c’è una figura significativa: Gaetano Pagano.
Gaetano è una persona molto importante nella mia crescita. Mi ha sempre consigliato, mi ha sempre lasciato tranquillo di modo che io potessi pensare solo a giocare. Col suo lavoro amministra tutta la mia carriera e lascia che la mia unica preoccupazione sia quella di andare in porta e parare. Non lo considero solo un procuratore, lo considero un pezzo della mia famiglia, nonché un elemento fondamentale nella mia carriera e nella mia crescita.

Tutti gli appassionati pratesi saranno felicissimi del tuo rinnovo.
Spero proprio di sì (ride, ndr). Quando esco a Prato incontro sempre qualcuno che mi chiede “ma rimani o no?” o mi dice “per favore rimani, dai”. Spero proprio di ripagare questa fiducia e tutti i sacrifici della società e la passione dei tifosi, così come punto a continuare la mia crescita per diventare un giocatore importante nel calcio a 5 italiano ed un pezzo importante della storia del Prato Calcio a 5.

L’urlo “Pereeez” sulle tue parate è diventato perfino la suoneria di un telefonino. Che ne pensi?
Sicuramente fa piacere (sorride, ndr). Sono arrivato al Prato due anni fa come giovane promessa, nessuno o quasi mi conosceva. Quest’anno andavo a giocare ed i portieri delle altre squadre mi volevano salutare, è una cosa che fa piacere. Spero negli anni di poter fare esultare ancora tanto i tifosi del Prato Calcio a 5.

Nella tua crescita è stata importante anche la Sardegna, crediamo sia un pezzo del tuo cuore. Merita qualche parola anche quell’isola bellissima.
La Sardegna è dove sono arrivato in Italia, è dove sono cresciuto, dove mi sono trasformato da ragazzo a uomo. Mi ha fatto diventare un giocatore importante e da lì sono venuto a Prato. Praticamente è la mia seconda casa. Molte persone lì le considero come la mia famiglia. Sono molto importanti per me, come Sergio e sua moglie, il mio allenatore Mario, Gigi, Mariano. Rimarranno sempre con me, li sento sempre e sono nel mio cuore.

Cosa ti manca di più del Brasile, quando sei qua?
Direi la famiglia, gli amici, la vita. Però ormai sono qua da tanto tempo, mi sono abituato e non solo, io sono felice qua. Mi manca più che altro la famiglia ma la mia vita ormai è qua. La vita che mi ha fatto diventare uomo è qua. Sono contento di quello che ho. Famiglia a parte, ho tutto qua.

Nell’incrocio Brasile/Italia, quali sono i tuoi piatti preferiti?
Il piatto brasiliano più buono per me è assolutamente la picanha, un piatto di carne. Senza ombra di dubbio. Quanto al piatto italiano, è già più difficile rispondere. Io sono un amante della carne e visto anche che siamo in zona dirò la fiorentina.

Di fiorentina potrai mangiarne quanta ne vuoi, Thiago. La tua contentezza per essere rimasto è anche la nostra.
Sono molto contento, davvero. E sono molto contento di sapere che sono così importante per la società, per le persone, per i tifosi. Questa sensazione è difficile da descrivere. Poche persone nella vita riescono a provarla. Mi ritengo fortunato ed in dovere di ringraziare coloro che mi stanno facendo provare tutto questo.

E allora sempre forza Prato.
Quello assolutamente.

Ufficio stampa Prato



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